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Stare a casa

Nel mondo interiore di Etty Hillesum alla scoperta di una nuova Umanità.

ll destino di ciascuno di noi non è negli avvenimenti esteriori ma nel modo attraverso cui si è in grado di prendere posizione rispetto ad essi.

In questi difficili giorni – scanditi da un tempo sospeso – stati d’animo tra loro differenti si affollano dentro di noi: paura, ansia, senso di fragilità e di solitudine, bisogno di comprendere e desiderio di affrontare con consapevolezza la situazione-limite che stiamo vivendo.

“Stare a casa” significa anche questo: abitare la propria casa interiore, interrogarsi sulla propria capacità di resilienza, scendere più in profondità nel proprio Sé per interrogarsi sul senso di ciò che sta accadendo, cercando un sentiero che possa condurci, almeno con l’immaginazione, fuori dal caos delle emozioni.

Portretfoto van Etty Hillesum met hand onder haar kin circa 1940
Ritratto di Etty Hillesum, 1940

Etty Hillesum nel suo Diario da Westerbork, anticamera di Auschwitz, scriveva il 10 giugno 1941: ”Il mondo interiore è tanto reale quanto quello esterno. Anch’esso ha i suoi paesaggi, i suoi contorni, le sue possibilità, i suoi terreni sconfinati […] Ho ritrovato il contatto con me stessa, con la parte migliore e più profonda del mio essere […] Nel silenzio c’è la scoperta dell’incontro con un “altrove” rispetto a se stessi e al mondo […] Un incontro che decentra il soggetto, lo sradica dal suo naturale egoismo per rifondarlo alla radice”.

Etty vuole sottolineare che, nei momenti di grande difficoltà come questi che ci stanno attraversando, si può ritornare a prestare ascolto a se stessi e alla relazione con gli Altri.

L’esistenza allora si allarga in questo accogliere empaticamente la vita e la morte, tentando di tenere insieme le contraddizioni del mondo nel nostro “cuore pensante”, che guarda con estrema compassione ai tantissimi morti di questa epidemia e con profonda gratitudine a chi, in prima linea, si espone fino al sacrificio della propria vita per salvare la vita altrui.

Con la consapevolezza umile di chi vuole rintracciare in questa destrutturazione delle nostre certezze, il “filo” di una nuova umanità; una umanità che possa restituirci il volto più autentico della ragione per cui siamo al mondo come esseri incarnati.

Stiamo scoprendo sempre di più di essere una Umanità “Una”, in cui non c’è più spazio per l’individualismo e la separatezza, ma al contrario esiste una interconnessione che ci rende appunto interdipendenti, tutti bisognosi di cure e tutti in grado, se vogliamo, di “curare”. Non c’è vita senza la Cura che ripara la Vita, riportandoci a quella essenzialità, di noi stessi e dei valori, che abbiamo smarrito nel ritmo vorticoso e frenetico della nostra quotidianità.

È questa la ragione per cui non amo la metafora bellica che ci viene costantemente proposta dai giornali, dai politici, dai social; ha una risonanza emotiva in chi legge e ascolta che spinge alla aggressività del rapporto amico-nemico. Credo invece che abbiamo bisogno di tutt’altro.

Bisogna allora valorizzare la “cura” , l’inclusione, l’empatia, abbandonando il linguaggio che connota la “cornice” della attuale condizione: solo la “giusta parola”, solo il richiamo ai “retti rapporti umani”, alla solidarietà e alla compassione possono infonderci il coraggio e l’energia psichica indispensabili per guardare questo momento con occhi liberi dalla paura e con il conforto della speranza.
Accogliere attivamente il dolore libera forze nuove.

“ll destino di ciascuno di noi non è negli avvenimenti esteriori ma – come ancora ci dice Etty – nel modo attraverso cui si è in grado di prendere posizione rispetto ad essi”.

Per approfondire:
Etty Hillesum, Diario (edizione integrale), Adelphi 2012

Cecilia Lanza


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Comments 1

  • Mariella
    Bellissimo articolo scritto con il cuore e la mente. Emoziona ed insieme illumina. Un invito ad abitarsi , a cercare per lo meno di farlo, a tentare, con l’umiltà di chi vuole imparare . L’ascolto di sè richiede pazienza; ma abbiamo tempo per farlo ed è un tempo che torna , non un tempo che scivola senza lasciare traccia. L’immagine di Hetty pensosa poi e le parole hanno una tale sintonia da non sapere se sia stato il volto a ispirare le parole o queste a dare voce alla sua espressione .

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